Un giorno, non so se fossi già alle elementari, rivolsi a mia madre una domanda che mi frullava nella testa da un po’. Il ricordo è molto vivido: gliela feci mentre rientravamo a casa e lei arrestava l’auto nel garage del nostro vecchio condominio. Le chiesi come si facesse a distinguere per iscritto le due “o” che venivano pronunciate in modo diverso (evidentemente, senza saperlo, mi riferivo alla “o” con l’accento grave e a quella con l’accento acuto).
Lei mi rigirò la domanda, curiosa dell’idea che potevo aver sviluppato in autonomia, e io azzardai: una si scrive più grande e più “ciccia”, l’altra più piccola e “magra”. Non era male come idea.
Oggi gli accenti sono, insieme alla punteggiatura, una delle mie fissazioni, e noto con disappunto che sono in molti a non usarli in modo corretto (nemmeno quando trattano specificamente dell’argomento, vedi l’errore nella pagina al link sottostante).
Sono consapevole del fatto che siamo disabituati a scrivere, soprattutto non siamo più abituati a scrivere facendo attenzione alla forma: scriviamo sms, scriviamo su facebook e twitter, scriviamo mail sbrigative e spesso di corsa o facendo altre tre, quattro cose insieme. L’uso della tecnologia ci ha certo facilitato, ma in molte cose ci ha anche impigrito; quanti di noi scrivono ancora lunghe parti di testo a mano?
Ma il punto non è solo questo. Per alcuni versi, in realtà, la tecnologia potrebbe aiutarci a migliorare nello scrivere, piuttosto che il contrario. Potrebbe rendere più facile e frequente l’allenamento, il confronto, le correzioni. Invece sembra che ci piaccia di più cavalcare l’onda contraria.
Se poi, addirittura ci mettono i bastoni tra le ruote, allora siamo fritti.