I social network sono ormai quotidiano argomento di conversazione nei contesti più disparati.
Giornali e riviste non fanno che pubblicare articoli sul tema. Non ricordo se fosse il Sole24ore o quache altro quotidiano che ha approntato addirittura una guida in più volumi per gli utenti di Facebook – il social network più frequentato, gettonato, studiato, chiacchierato.
Anche oggi su Repubblica due le questioni affrontate: la prima ha a che fare con l’ombra nera della crisi che avanzerebbe anche su questo settore; la seconda riguarda un gruppo di madri che ha lanciato una protesta contro la politica di Facebook relativa al divieto di pubblicare foto di donne che allattano.
Ora, non m’interessa discutere qui i pregi e/o i difetti di Facebook e affini, vorrei invece parlare di quello che io considero realmente un “social network” – ampliandone, forse in modo improprio, la definizione.
Couchsurfing è una rete di ospitalità gratuita che funziona tramite Internet.
Ormai molto conosciuta, con un gran numero di utenti, nasce nel 2003 dall’idea di un giovane del New Hampshire, che avendo la passione per i viaggi ha ideato un portale attraverso il quale è possibile ospitare ed essere ospitati semplicemente inviando una mail agli utenti della rete.
Il sistema, molto ben organizzato, prevede la creazione di profili molto dettagliati, nonché un modo di verificare e valutare il grado di disponibilità e serietà con cui i membri vi partecipano. La forza di questa rete è non solo quella di permettere a chi viaggia di avere un posto dove dormire senza spendere un soldo, ma soprattutto di conoscere i luoghi attraverso e insieme alle persone che li abitano, creando – parallelamente alla rete virtuale – una reale rete di contatti tra persone di diversi Paesi e culture. Consiglio, a chi ne avesse la possibilità, di entrare a far parte di questa rete. Si tratta, a mio avviso, di uno dei progetti più ambiziosi ed interessanti realizzati attraverso Internet, con una funzione sociale e culturale di grande portata.
Solo una volta, ormai un paio di anni fa, mi capitò di leggere un articolo pubblicato su un quotidiano italiano relativamente ai “surfers del divano”.
Ma si sa, le cose che funzionano non meritano mai troppa attenzione.