Incerti tra Babel di Innaritu e La commedia del potere di Chabrol, alla fine – nostalgicamente guidati dai retaggi dell’infanzia – affittiamo Kyashan, film di Kazuaki Kiriya ispirato all’omonimo cartone animato.
Chi non soffre del malinconico ricordo di Kyashan, cartone animato politicamente impegnato, in cui le vite umane cadono in guerra come foglie in autunno, in un mondo bieco e malato, e in cui anche il buono superandroide e potentissimo riesce a malapena a difendere la sua identità di eroe, smetta pure di leggere.
Un dolce velo di angosciosa tristezza permeava, già allora, la bianca armatura del Nostro, il nome della sua compagna d’infanzia e di vita (Luna) e la loro per niente sdolcinata relazione, il fedele cane Flender, anche lui rivestito di corazza robotica e capace di trasformarsi in auto e astronavi, il rapporto con la madre: un cigno che segue il figlio nelle sue sventure e che grazie ad una sofisticata tecnologia proietta dagli occhi il corpo ancora umano della donna per farli comunicare.
Ah, come ci si sdilinquiva perfino in mezzo ai combattimenti più duri…
Il film, strabordante di post-produzione e luci colorate cerca in tutti i modi di avvicinarsi all’originale senza riuscirci, parte con qualche buona premessa per poi appesantirsi via via e diventare troppo. Davvero troppo. Dura due ore che sembrano tre. Flender e Swaane (il cigno) sono mere apparizioni e simbolizzazioni, la sceneggiatura si sfilaccia, poi diventa complessa, poi si ripete. Il sonno potrebbe infine avere la meglio, se non fosse che il gatto che hai sulle gambe assume posizioni così comiche da tenerti sveglio.
Il giorno dopo andrai su You Tube per trovare la sigla del cartone animato e tornare a quello sdilinquimento noto seppur appannato, e Kyashan che volteggia davanti alla luna ti ricorderà improvvisamente il senso della tua età anagrafica.