Paul Ginsborg presenta il suo ultimo libro “La democrazia che non c’è”.
Lo intervista Paolo Franchi, direttore de Il Riformista.
L’argomento è, ovviamente, oltremodo complesso; l’incontro è interessante (anche se alcuni la pensano diversamente da me). In passato ho studiato alcuni libri di Ginsborg e mi ha fatto piacere sentirlo parlare, ma davvero non posso dire altrettanto del suo interlocutore.
Ecco, diciamo che più che concentrarmi sulla questione dell’assopimento e della potenziale rifioritura della democrazia, i miei neuroni si sono soffermati, come al solito, sull’atteggiamento degli oratori rispetto a sé, all’altro e al pubblico.
Mentre Ginsborg volge busto e sguardo alla platea e compone con ottimo italiano discorsi chiari e sintetici, Franchi sta appoggiato a un gomito, torto verso l’intervistato, mano sulla fronte corrugata; parla a voce bassa, spesso allontanandosi dal microfono (bofonchia), apre mille parentetiche, salta da un punto all’altro senza coerenza, tanto che non è mai chiaro qual’è esattamente la domanda che pone. Non declina il tema a favore del pubblico tanto è impegnato a rimanere saldo nel suo ruolo: a tratti si parla addosso e, più in generale, si gongola nella contorta e oscura modalità discorsiva affatto utile che sembra ormai prerogativa di chi in Italia è deputato a “fare informazione”.
Certo lui è anche un politico, ricordiamocene.
Non si tratta qui della questione di essere d’accordo con chi (Franchi e Ginsborg sono in disaccordo su molte questioni) ma di quel velo di arroganza che permea le parole di chi pensa di saperne di più e di essere nel giusto. Qualcosa che diventa per chi ascolta estremamente palpabile.
Infine, poiché di fatto si parla di politica, e si finisce di parlare della politica di sinistra, questa differenza rischia di fare da specchio a quell’incapacità che lo storico ravvisa nella compagine politica italiana.
Mi sembra che Franchi non sia un buon rappresentante di liberal democratico (additando, dico comunque che non ho mai letto niente di suo ed era la prima volta che lo sentivo parlare) ma la riflessione mi ha portato oltre. Si può davvero parlare di liberalismo in Italia? Se ne può parlare davvero a sinistra dove il bagaglio del passato e l’incancrenimento di certe posizioni lo costringono ad un discorso prettamente economico?
Leggerò il libro (edito EINAUDI, 8 euro), in cui Mill e Marx si incontrano scoprendo dei punti di contatto tra le loro teorie, così apparentemente differenti tra loro.
2 risposte su “Democrazia, liberalismo e oratoria”
Franchi è un giornalista e commentatore politico che ha scritto su molti giornali, non è un politico, scrive meglio di come parla; è vero che quando parla, o intervista, non è chiaro e fa addormentare, ma i suoi commenti sono spesso saggi. Ginsborg, docente universitario, è abituato a (cercare di) farsi capire. Il difetto di molti commentatori politici, che, come Franchi, hanno frequentato per anni il transatlantico, è che pensano di parlare a loro simili – allusioni, sottintesi, cose che non si chiariscono perchè si danno per scontate – e non si mettono mai dal punto di vista di un ascoltatore che, pur essendo interessato alla politica, non fa parte del cerchio degli addetti ai lavori. Invece, intellettuali come Ginsborg sono spesso infastiditi da certe “regole ” della politica: la mediazione, il compromesso, lo scambio, la competizione per il consenso che prevale sulla ricerca del bene comune. Tutti e due di sinistra, tutti e due alla ricerca, da sponde diverse, di un innesto sulla cultura tradizionale della sinistra di quella liberale. Che potrebbe trovare spunti in Stuart Mill, non vedo come in Marx.
Grazie amicus plato.
In effetti cogli proprio la sensazione che ho avuto io: il fatto che Franchi si rivolgesse ai suoi simili più che a chi era presente.
Spesso le cose che mi infastidiscono parecchio mi portano a condire di accesa cattiveria quello che scrivo, dimenticando che la via migliore è quella di leggere, conoscere, informarsi prima di sparare a zero.
Tuttavia penso che non mettersi mai dal punto di vista dell’ascoltatore sia un grave difetto, soprattutto da parte di chi, come Franchi, si occupa di politica e informazione.