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Rielaborazioni

Gore Vidal e la giornata degli intrecci

di W.E.

Gore Vidal ha 81 anni, l’età di Rino.
Rino se li porta molto meglio devo dire.
Comunque, con la sua sedia a rotelle, Gore Vidal ha intrattenuto un teatro pieno con la presentazione del suo ultimo libro Navigando a vista, Fazi Editore.

L’intervistatore ufficiale era malato, dunque a intervistarlo un docente di Filologia classica (nonché direttore del centro interdipartimentale di Studi antropologici sulla cultura antica), e l’attuale Assessore alla Cultura. Non faccio nomi appositamente. Non mi interessa far loro pubblicità.

Le domande sono molte, ma tutte di tono generalista.
Gli argomenti, ovviamente: la politica, gli Stati Uniti, la politica degli Stati Uniti, l’identità, la formazione e il mondo accademico, gli incontri della vita (Vidal ne ha fatti tanti), la letteratura (tema purtroppo affrontato un po’ poco, perché si sa, è Vidal personaggio pubblico che incuriosisce di più. Chi l’ha detto? Bah, comunque).

Le risposte sono più interessanti delle domande, Vidal si prende consapevolmente e con piacere la libertà di portare il discorso dove più preferisce; l’inglese è biascicato (ha pur sempre 81 anni) e il volume basso, infatti nella cabina della quinta laterale le due interpreti annaspano un po’.
Ma lui sa come si parla, lo sa bene, è stato scrittore, politico, sceneggiatore, attore; lo fa con maestria, il pubblico gode.
Lo preferisco di gran lunga agli intervistatori (che qui sono intimiditi dall’importanza dell’ospite, non come quando siedono nei loro uffici) anche se mi perdo un sacco di cose, perché con un po’ di supponenza sul mio inglese ho rifiutato di fare la fila per prendere le cuffie.

In ogni caso la cosa è interessante. Non ho mai letto niente di Vidal, ma conosco un po’ la sua storia e insomma, diciamocelo, la curiosità di vederlo e sentirlo parlare a viva voce era forte.
Ascoltarlo mi ha riportato al post di Rexer Voci d’inchiostro, ossia al discorso sulla capacità di veicolare le parole e riuscire a farlo in maniera interessante per la platea. C’è chi ha per natura questa capacità, c’è chi tenta di acquisirla. Stiamo banalmente parlando di retorica.

Ma c’è un altro punto su cui Rexer ha ragione, e che mi trova assolutamente d’accordo: questa capacità si ottiene con una certa facilità nel momento in cui l’argomento che si sta affrontando è trattato con passione. Cioè: il parlatore è appassionato, infervorato dal tema che sta trattando.
E qui potremmo tornare al discorso sulla necessità ma è meglio di no.

Pensai molto a questa cosa quando anni fa sentii parlare per la prima volta la Finocchiaro a Porta a Porta. In questo senso (la professionalità unita al fervore e poi alla conseguente credibilità) riuscì a dare le paste persino ad Andreotti, che in fatto di retorica non si può dire che se la cavi male.

Comunque tornando a noi.
Gore Vidal affronta il tema della religione, parla della necessità per l’uomo di individuare qualcosa che sappia di “absolute”. E qui, rivedo il personaggio di Trintignant che affronta a modo suo la stessa tematica in Ma nuit chez Maud. Il suo consiglio, parafrasando le dottrine buddhiste, si condensa in una parola: shunyata, da lui tradotta come “shining nothingness”.

Infine, pungolato da una signora del pubblico, Gore Vidal parla di che cosa ha significato per lui recensire libri.
E qui torniamo a Rexer e a Nick Hornby. Hornby ci dice che l’unica regola di The Believer (rivista su cui recensisce i libri che legge) è “non scrivere mai stroncature”.
Cosa difficile, in effetti, dato che è difficile avere la fortuna di leggere tutti libri che incontrano i nostri gusti. Ma il presupposto è diverso: cercare di parlare delle cose positive che si trovano in un libro piuttosto che di quelle negative.
Gore Vidal dice: “Il mio unico obiettivo, quando recensivo libri, era di invogliare le persone a leggere libri che non avevano mai letto”. Portare le persone a leggere, tessendo le lodi dei libri piuttosto che stroncare libri non di suo gusto. Ha usato il verbo “praise” più volte.

Sono molto d’accordo con Gore Vidal.
E sono molto d’accordo con Nick Hornby.
A che pro sputare su Dan Brown? Che senso ha dato che l’hanno letto in milioni? Andiamo piuttosto a vedere cosa c’è di buono.
In generale, e non solo per quanto riguarda i libri, trovo che questa modalità di pensare in modo costruttivo, “accrescitivo”, positivo, anziché il contrario sia fortunosa e da perseguire.

Lo dico io, che ho aperto un blog che si autotaccia di snobismo.

Il che ci riporta al discorso sulla laicità di Rexer (da me virato su Dio, me ne dispiaccio). Non è che sto cercando di conquistarmi definitivamente la tua attenzione e il tuo plauso, Rexer, ma guarda caso, come dicevo testè, nel post precedente, i discorsi finiscono per intrecciarsi così bene. Amo trovare le corrispondenze tra le cose.

Ecco. Per esempio, questa è piccola piccola, ma l’amico marxista di Michel nel film di Rohmer si chiama Vidal.

3 risposte su “Gore Vidal e la giornata degli intrecci”

Che coincidenza,

facevo un analogo ragionamento oggi,

ovviamente. 🙂

Non preoccuparti per le virate, ho imparato che quando si scrive qualcosa di pubblico non è più nostro, acquista una vita sua.
Evidentemente era destino di quel post di confrontarsi con Dio (questa è grossa. Mi è uscita così, ormai non la cambio)

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