Mario è un bambino di 9 anni cresciuto a cipster e coca-cola con una madre che lo ha fatto dormire in terrazzo per ospitare di notte i suoi compagni occasionali.
Viene affidato dal Tribunale Minorile a Giulia, un’insegnante di Arte all’Università, che convive con Sandro, giornalista della RAI. Per la prima volta Mario vive in una bella casa, ha tutto quello che vuole e viene trattato con affetto. Il suo carattere difficile, la sua inadeguatezza al mondo, le sfide con se stesso e con tutto ciò che lo circonda rendono il rapporto con Giulia complicato (e con Sandro impossibile) mettendolo continuamente in discussione.
Giulia, nel desiderio di essere una madre vera e nel tentativo di venire accettata dal bambino, è oltremodo permissiva, convinta com’è che Mario debba crescere libero per poter fare le sue scelte.
Lungo questa strada viene osteggiata dalle “istituzioni”, rappresentate dal Giudice del Tribunale, la psicologa che segue il bambino, e la scuola – dove insegnanti e preside condannano continuamente i comportamenti di Mario.
Capuano è bravo a costruire i personaggi, soprattutto a far emergere tutti i limiti di ognuno, a rendere gli errori ovvii, tanto rientrano nel desiderio intimo di diventare genitore o figlio, nel tentativo di perseguire la via “giusta”, sia che riguardi l’ambito educativo o la sfera dei rapporti.
Tuttavia è vero – come sottolinea Giancarlo Zappoli – che al di là dei moralismi lo spettatore finisce per trovarsi in disaccordo con la via intrapresa dal personaggio di Valeria Golino che concede al figlio adottivo financo il serpente nella teca una volta che ha perso il suo amato cane Mimmo.
Sembra che Mario non sia e non sarà scalfito da alcuno dei tentativi di aiuto che gli vengono dall’esterno (in questo i bellissimi quadri in bianco e nero con la sua voce off che narra cose crudeli sono determinanti), se non, forse, quando si rende conto che ha perso una madre potenziale e la vede allontanarsi da dietro un vetro.