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Cotidie

Toast

di W.E.

Verso i 7 anni, ogni domenica sera mia madre mi faceva un toast, appena pronto me lo portavo di sotto, da Giorgio e Rosina.

In realtà ci andavo spesso, anche durante la settimana.

Lì c’erano sempre tanti gianduiotti e qualche vecchia agenda dove disegnavo.

Mi sedevo tra i miei nonni acquisiti e insieme guardavamo i varietà.

Una notte i miei genitori mi svegliarono e mi portarono di sotto in fretta e furia, mia madre aveva le doglie e mio padre la stava portando all’ospedale.

La mattina dopo, subito dopo scuola, andai a vedere mia sorella, era magra come un’acciuga e stava nell’incubatrice.

Un’altra volta tornai da scuola febbricitante, credo che poi il termometro segnasse i 39.

Suonai al piano di sotto, ero a pranzo lì perché i miei erano tutti e due al lavoro.

Non capivo niente, avevo il corpo indolenzito e in fiamme, i brividi, e vedevo appannato.

Casualmente quel giorno, in quell’appartamento, mi aspettava un regalo meraviglioso.

Un canarino. La gabbia era color oro e io e la mia febbre vedevamo il tutto come qualcosa che riluceva in modo soprannaturale.

Lo chiamai Archimede, il canarino.

Volò via, tempo dopo. Giorgio morì presto. Noi ci trasferimmo.

Rosina è morta qualche anno fa, dopo altri lutti.

La rividi poco prima, andai a trovarla a casa. Un’altra casa, non quella della mia infanzia, in un quartiere nuovo pieno di palazzi alti tutti uguali.

Mi venne tanta tristezza, nonostante l’emozione di incontrarla ancora.

Ieri la tradizione, che rende il 25 dicembre un giorno rilassante.

I miei si alzano presto per una passeggiata, poi tornano. Una volta che siamo tutti davanti all’albero, come ogni anno metto l’LP di John Lennon. Con Happy Christmas si cominciano a scartare i regali.

Appena finisce si riparte con Give Peace a Chance, a continuare.

E a pranzo, il menù natalizio: aperitivo con pane abbrustolito salmone e burro, tortellini in brodo, insalata di pollo, carciofi alla maniera di mia madre. Poi il pomeriggio scorre lento, tra un sonnecchiare e un film (ieri davano Vacanze Romane).

Tutte le magie dei bambini si dissolvono nel tempo, nei ricordi e negli affetti perduti.

Quel Babbo Natale spaventoso, che arrivava dal terrazzo battendo sulle finestre e roteando una torcia nel buio non tornerà, non tornerà quel toast, non tornerà il canarino.

Ma tutto quello che rimane è già tanto.

E arriveranno altri toast e altre febbri.

Sono in attesa.

3 risposte su “Toast”

Qualche anno fa ero il figlio e nipote, circondato da genitori, nonni, zii e soprattutto (per me) da tanti regali. Ora sono io il genitore, lo zio, quello che i regali li fa. E’ inutile negarlo, preferivo prima. Le cose sono due, o questo cavolo di Peter Pan non mi vuole abbandonare, ma non credo sia questo, o, semplicemente, a natale è più bello essere bambini.

Nella mia famiglia, entropica com’è, il senso del rito era piuttosto informe. Di chiaro, vi erano solo alcuni punti fermi piuttosto generici, il più rilevante dei quali, ai miei occhi bambineschi, era: scartare i regali il 24 dicembre NO, scartare i regali il 25 dicembre SI’.
Cosicché provvedevo da me medesimo a ritualizzare questa brutale legge aprioristica, attenendomici con spirito prussiano, se non pavloviano. Il che si traduceva nel fatto che alle quattro della notte tra 24 e 25 m’alzavo in preda a cupio scartamenti, m’introducevo silenzioso e pigiamato in salotto, m’accoccolavo vicino all’albero e prendevo possesso, in mistica e solitaria concentrazione, dei miei nuovi averi.
Fuori era buio, e piano piano faceva alba, e poi giorno, e mio fratello e mia mamma si svegliavano, e lì mi trovavano, intento a disporre soldatini, carrarmati e navi spaziali nei pressi del presepe.

“Buonasera Rino. Che ha fatto a Natale?”
“Ma, che di’, che vole…so’ stato dal mi’ nipote…Ma io n’ho passati tanti…Per me è un giorno come quegl’altri…Quando s’era ragazzi…allora…”
“Che succedeva?”
“Eh, lo sa, a quel tempo noi i dolci si vedevano col binocolo…Il giorno di Natale, il mi’ babbo comprava un pezzetto di Panforte, così eh, mica grosso. E poi si divideva, eravamo in dieci. E poi un cantuccino. Ma quant’era bono.”

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