Sfoglio il Venerdì di Repubblica. C’è una lunga sezione che si chiama “Speciale Regali Natale 2006”, divisa nelle seguenti categorie: “casa”, “bambini”, “hi-tech”, “solidarietà”, “tendenze”.
Mi viene in mente un post di Lea e mi dispiaccio nuovamente per il fatto che non posso entrare in comunicazione con lei (Lea, perché non ti si può commentare?).
A parte la candela di Etro che costa 70 euro, la palla di neve di Louis Vitton a 300 euro, gli occhiali con le lenti tempestate di Swarovsky (dico: ma si vede qualcosa oltre le lenti?) di Luxury allo stesso prezzo della palla di Louis Vitton, e – dulcis in fundo – Fuga in rosso di Krug Escape Collection (bauletto contenente fiches, carte, champagne, bicchieri, sigari etc.), alla modica cifra di 15.000 euro, la mia attenzione cade su un simpatico oggettino nella categoria “bambini”.
Un barboncino di peluche dentro una borsetta dorata. La descrizione recita:
“Un cagnolino nella borsa, alla maniera di P*ris Hilt*n (per gli asterischi cfr. Rexer) che si porta l’inseparabile amico dappertutto. Si tratta di un peluche Trudi presentato in una borsetta dorata per le aspiranti fashioniste”.
Le aspiranti fashioniste? Le aspiranti fashioniste????
Bambine, prendete subito la fionda e tante pietre grosse – ma grosse.
E state appostate. C’è del lavoro duro che ci aspetta.
3 risposte su “Santo Natale”
L’avvento del Fashionismo, la minculpop-culture, Duce&Gabbana, e migliaia di modelle e starlette che conquistano il mondo marciando su passerelle e rotocalchi a passo d’oca (tutte fuori tempo, ovviamente).
Io spero che prima che P*ris Hilt*n lasci questo mondo il suo cane esca dalla borsetta e le addenti un braccio, che le andrà in cancrena.
E che allo stesso modo si comportino i cani nelle borsette di tutte le ragazze che emulano la suddetta (ne ho viste diverse).
Spero che i giovani comunicatori e cerca-tendenze della Trudi si contorcano dal mal di stomaco lungamente, con cagarella a fischio, perennemente al bagno e senza Settimana Enigmistica vicino.
Spero che i genitori che regaleranno una cosa del genere alle loro figlie non scopino più per il resto della vita almeno non faranno altri figli.
Vi ringrazio, perché era un po’ che pensavo a Paris Hilton, un fenomeno che mi affascina davvero molto e mi diverte perché mi pone un po’ di problemi. La fashionista mi provoca un po’ di domande che hanno contemporaneamente il sapore dell’enigma (da risolvere quindi durante attacchi di dissenteria come consiglia W.E.) e il senso di gravità dell’interrogativo etico-morale. Provo a districarmi sul limite fra questi due aspetti con la leggerezza del bricoleur, sperando di essere abbastanza SNOB per il blog. Uso questo come uno spazio libero di espressione, soddisfacendo il riprovevole vizio della compiacenza. E siccome pensare mi diverte, ma lo faccio anche per lavoro (più snob di così?!?), qui lo faccio in vacanza, lontano da ogni frustrazione.
Il meccanismo comunicativo del blog, con la sua totale accessibilità e le identità delegate ai nickname, unisce allo stesso tempo il segreto e la totale pubblicità. Se la compiacenza è un peccato da nascondere, scrivere su un blog in questo modo è come lavare i panni sporchi in una casa che ha le pareti di vetro. Mi sembra un atteggiamento abbastanza snob, non credete?
Parto dai concetti di “sterilità” e “capacità produttiva”.
La prima nega la seconda: noi “usiamo la nostra capacità produttiva” per realizzare beni che W.E., e molti con lui, definirebbero “sterili”, a partire dalla loro evidente inutilità. Perché?
Penso che in fondo il problema sia connesso con lo stato attuale delle comunicazioni di massa. Siamo molto lontani ormai dai panorami mediatici “apocalittici” della stagione durata dalla loro nascita agli anni ’70, e anche dai fenomeni della comunicazione di flusso tipica del periodo fra gli ’80 e la seconda metà dei ’90.
La situazione è del tutto nuova, questo blog stesso ne è un sintomo, e se per analizzarla usiamo gli strumenti culturali della scuola di Francoforte rischiamo effettivamente di risultare “vecchi come il brodo”.
Bisogna farsi quindi strumenti nuovi. Quali sono? Proviamo a fare un po’ di bricolage.
Il problema della candela Etro a 70 euro, è che con la forza della sua presenza questa riesce a cancellare qualsiasi altra candela, più “ragionevolmente” economica. Attenzione, prima domanda: dove sono le condizioni per la ragionevolezza che ci rende capaci di scegliere fra mille diverse candele, quella che mette a sistema mille variabili e le rende dipendenti?
La forza di Paris Hilton è fondata, almeno fino ad ora, sulla sua capacità di essere “presente” o, più correttamente, che la sua immagine lo fosse. La sola presenza della sua immagine in una fotografia, in un servizio televisivo che descrive una sfilata o qualsiasi evento “mondano” permette al suo simulacro di soverchiare in efficacia tutto ciò che rimane “in absentia” (il fuori campo, il sottinteso, il rimandato…). Quindi se c’è Paris Hilton (e lo vediamo nel recente spot telefonico), tutto il resto va in secondo piano e sembra che ci sia solo lei.
Fra i vari meccanismi di presenza sfruttati da Paris Hilton ce n’è uno in particolare: la pornografia. Paris Hilton fa vedere la potta (intenzionalmente); il suo simulacro compie evoluzioni eroticoginniche abbastanza deludenti (ma non importa, anzi rende il tutto più divertente ai miei neuroni) e non importa che la diffusione in rete del filmato sia intenzionale o no: c’è, e questo basta.
Ora, la caratteristica dell’immagine pornografica, ciò che la rende così attraente e repellente in due tempi, è la sua capacità di neutralizzare tutto ciò che è fuori campo per mezzo della coerenza assoluta di ciò che rimane dentro e provoca l’effetto di realtà.
Nell’immagine pornografica tutto torna, e ciò che si vede è tutto ciò che ci serve, compreso il dispositivo che ci fa sentire in contatto con esso. Soddisfatto il piacere voyeristico (chi è il voyeur se non uno che mette a sistema i pochi frammenti di ciò che vede attraverso il buco della serratura e crea un’immagine mentale che lo soddisfa ancora di più di quella vera?), l’immagine porno diventa insopportabile, ci fa sentire in prigione dentro di essa e il desiderio unico è pressante è quello di fuggire, guardare fuori.
Fino alla diffusione dell’immagine digitale i nostri occhi erano il dispositivo più utilizzato per conoscere il mondo. Con la produzione dell’immagine digitale a portata di mano sembra che stiamo delegando definitivamente questa attività conoscitiva alla protesi tecnologica: non si va a vedere il papa morto, ma a fotografarlo con il telefonino; non si va più in vacanza senza guardare il mondo attraverso lo schermo della fotocamera o della videocamera digitale, che ci permette di rilevare immagini anche aldilà delle capacità oculari, quando è buio.
La nostra memoria è quella della protesi. (Lancio lo spunto per una analisi di “the second life”).
Elevando questo meccanismo alle comunicazioni di massa ritroviamo che “casa”, “bambini”, “solidarietà”, “hi-Tech” e così via sono ridotti allo stesso regime di esistenza, che si basa sulla sostituzione della verità con la presenza. Quello che vediamo non rimanda più ad un oggetto o una situazione “reale”, dove l’oggetto si trova immerso in un mondo di cose simili o diverse da lui. L’oggetto c’è, c’è la sua immagine, e la presenza dell’immagine sembra togliere gradualmente il valore di esistenza a tutto quello che non si vede.
La “solidarietà” per esempio: guardare la foto del bambino/a adottato a distanza ci fa sentire partecipi dell’esistenza di quel bambino, e in un certo senso anche un po’ genitori. Possiamo sentirci partecipi delle missioni sanitarie in territori di guerra perché il mezzo visivo ci dà il senso della possibilità di conoscere la situazione in quei posti, e tale conoscenza ci pone nella condizione di non poter non intervenire.
Fare solidarietà e comprare la candela Etro via internet diventano la stessa cosa, quando il “fare” significa interagire con l’immagine degli oggetti.
Gli oggetti piano piano scompaiono e noi rimaniamo intrappolati nella coerenza del mondo racchiuso dalla cornice.
Il cane di pelouche nella borsetta di Paris Hilton ahinoi non ha niente a che fare con l’animale che accompagna la nababba nelle sue scorribande intorno al mondo. E costitutivamente non ha nulla di diverso dal vecchio pelouche di Topolino vestito da Apprendista Stregone.
Topolino però apparteneva al regime della fantasia, immagine che rimandava apertamente a se stessa immersa in un universo di immagini che illudevano di rimandare a qualcos’altro.
Il pelouche di Paris Hilton rimanda a se stesso, ma le cose intorno a lui rischiano di scomparire. Un po’ come la potta di Paris Hilton, o quella di Jenna Jameson rischiano di far scomparire la potta della ragazza della porta accanto.
Così come quando il soldato va a sganciare le bombe da qualche parte quello che vede sul monitor del suo aereo non differisce da quello che ha visto durante l’esercitazione.
In questo slittamento da illusione a simulazione, usiamo la nostra capacità produttiva per produrre beni che hanno uno statuto di realtà parimenti efficace a quello della fionda con le pietre.
Ho provato a spiegare, probabilmente sbagliando. Ma divertendomi. E continuerò a divertirmi. Forse, invece di esortare i bambini a mettersi in trincea, dovremmo tentare di essere capaci di insegnargli ancora a giocare con la fionda pur mettendoci, noi e loro, in grado di avere un rapporto maturo con le immagini della simulazione protesica. Una sorta di stoicismo del 2000.