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Con brio

La Tartara

di Simone Ceccherini

Secondo la tradizione, la “carne alla tartara” avrebbe preso il nome dai Tatari, i famigerati guerrieri nomadi dell’Asia Centrale, ribattezzati poi nell’occidente cristiano “Tartari”. Le truppe a cavallo avevano l’abitudine di fare a pezzi la carne degli animali malati o feriti, e di metterla tra la sella e il dorso del proprio animale. Al termine di lunghe giornate di spostamenti, ottenevano un cibo macinato da un prodotto che altrimenti sarebbe andato perduto.
Lo storico Ammiano Marcellino (IV sec. d.C) attribuisce specificatamente agli Unni questa pratica.
Ho riportato la ricetta originale e per dovere di cronaca, per gli edonisti, e per gli amanti della cucina integralista che volessero cimentarsi nella ricetta originale. Scusate la divagazione.

La tartara, ovvero una delle portate più snob e raffinate che il palato possa gustare, deve prevedere l’utilizzo di filetto di manzo freschissimo, personalmente preferisco la razza Chianina, più saporita rispetto alla Limousine o alla Charolaise.

Prendete il filetto e sminuzzatelo con un coltello pesante, la carne deve saltare in pezzi, usate molta forza, riducetela via via ad una poltiglia e lasciatela frollare fuori dal frigorifero. Evitate di farvi macinare la carne dal macellaio oppure non cedete alla tentazione di usare il tritacarne. La tentazione sarà forte dopo i primi due minuti di uso del coltello quando sentirete avvampare il braccio. Purtroppo il calore che si sviluppa con il tritacarne dà inizio ad un processo di cottura che non rende gradevole il sapore, tantomeno la consistenza sul palato: tenetevi l’avambraccio caldo e il manzo fresco. Un altra cosa: l’operazione deve essere effettuata a temperatura ambiente, quindi se avevate la carne in frigo toglietela un po’ prima, diciamo tre quarti d’ora per un pezzo di un chilogrammo, ed evitate nella maniera più assoluta di preparare la polpa la mattina per utilizzarla la sera.
Rendetevi conto che il trattamento della carne è buona parte della riuscita del piatto, quindi non lesinate sulla qualità e sull’operazione di taglio, eliminate anche i più piccoli scarti.
Cercate l’eccellenza.

Unite alla polpa: succo di limone, olio di oliva (mai quello nuovo), cognac, senape rigorosamente Dijon, salsa Worcester, e amalgamate il tutto con le mani, infine componete delle polpette con una fossetta al centro dove disporrete un tuorlo d’uovo intero.
Dosi indicative per quattro persone:
600 g. di filetto di manzo
1 cucchiaio di brandy
2 cucchiai di moutarde Dijon
1 cucchiaio di salsa Worcester
2 cucchiai di succo di limone
4 tuorli d’uovo
3 cucchiai di olio d’oliva
sale e pepe.

Le critiche non sono ben accette. Considerate che sono a corto di materia prima, che mi piace sperimentare. Limitatevi ai complimenti.
Dimenticavo! Il vino. Grignolino del Piemonte.

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