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Cinema

L’altro

di W.E.

L’anno è agli sgoccioli, siamo a novembre quasi metà, e dopo l’evento del 4 novembre dubito che potranno essercene di più eclatanti. Detto questo, data la mia latitanza, e dato che nel frattempo ho visto tanti film e soprattutto dato che faccio fatica a ricordarmeli tutti, vorrei citarne almeno due.
Perché mi hanno colpito in particolar modo e perché secondo me contengono entrambi, pur essendo molto diversi, un’analisi attenta e drammatica di una delle caratteristiche fondamentali dell’attuale società occidentale (per non dire dell’attualissima Italia): la paura dell’altro.

Il primo è La zona di Rodrigo Plà. A Città del Messico, la Zona è un’autentica città nella città. Un muro la separa dalle vicine favelas, al suo interno trovano spazio quartieri residenziali di famiglie benestanti che ne stabiliscono le regole. Una notte, un fulmine fa crollare un cartellone pubblicitario che si abbatte sul muro. Il passaggio dall’altra parte, per tre ragazzi che passano il tempo in un autubus abbandonato è facile e quasi obbligato. Finiranno in una villetta a cercare di raggranellare un bottino ma due di loro saranno freddati senza quasi neanche il tempo di accorgersene. Il terzo, il più giovane, riuscirà a fuggire e a nascondersi. Per poi diventare vittima di una spietata caccia all’uomo per tutto il resto del film.
La Zona è un film crudo e cattivo, perché ci dice in faccia quello che stiamo per diventare: perenemmente spaventati da coloro che consideriamo diversi da noi, gelosi della nostra ricchezza materiale, e detentori di un personale e discutibile senso di giustizia.
La paura dell’altro non è mai stata così viva e così tangibile, lui incarna tutti quegli esemplari di uomo in grado di perpetrare il male proprio contro di noi, anche si trattasse solamente di rubarci la panchina (il riferimento non è casuale). Anche quando lui è poco più che un bambino. C’è poi un altro elemento basilare in questo film: una critica aspra al mondo adulto, che non è più in grado di raccogliere la fiducia delle nuove generazioni perché non è più in grado di ascoltarle con la modalità di chi ha ancora voglia di imparare.

Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti è già un piccolo cult. Un film autoprodotto (hanno contribuito tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione) e pressoché autodistribuito, inizialmente in poche sale italiane per pochi giorni, poi lungamente in alcune città come Milano e Roma. Ora per fotuna, è possibile trovarlo anche in DVD nei grandi circuiti distributivi e se lo affittate vi consiglio vivamente di vedere il backstage, in grado di spiegarvi il processo che ha portato a questa piccola opera d’arte.
Il film è ambientato in un paesino sperduto nella montagna di Cuneo, dove si parla ancora occitano (e dove gli abitanti sono meno numerosi della troupe): qui decide di trasferirsi insieme alla sua famiglia un ex professore che ha lasciato il mestiere per dedicarsi alla pastorizia. All’inizio viene guardato con circospezione, poi gli viene tributata una grande accoglienza. In seguito tornerà ad essere uno straniero.

Credo che questi due film andrebbero visti anche nelle scuole.
Penso che combattiamo già sufficientemente la paura dell’altro che è dentro di noi, che è poi l’unico modo per riuscire a conoscere il mondo e per vivere serenamente.
Mi piacerebbe infine che qualcuno cominciasse a sottolineare quanto sia rischioso alimentare questa paura, piuttosto che appropriarsene come se fosse un motto, stamparla su una bandiera e farla diventare un comune ed elementare dato di fatto.

Una risposta su “L’altro”

“Il vento fa il suo giro” l’ha prodotto il mio amico Simone. Dieci anni fa ce ne stavamo al Pozzo a bere birra e parlare dei film che avremmo fatto. Lui li ha fatti davvero, cazzo.
Io, invece, sono qui ad aspettare che la Gelmini mi licenzi, come ha minacciato di fare. E finora tutto ciò che ha minacciato di fare lo ha fatto. Auguri.

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