È del 7 ottobre l’amara ma decisa dichiarazione di Rutelli: il ministro è pronto a decretare la morte di Italia.it.
Sì, stiamo di nuovo parlando dello scandalo italiano, di quel carrozzone che tutti gli effetti ha avuto tranne quello per cui è stato realizzato: promuovere il turismo e l’immagine del nostro stivale.
Dopo mesi di recriminazioni e critiche anche i vertici prendono atto del fatto che il portale non rappresenta altro che un nuovo fallimento tutto italiano e siccome è tutto italiano, è un fallimento che è costato 45 milioni di euro, dispersi in mille maglie e passaggi.
Pochissime visite sul sito, malfunzionamenti ed errori madornali a livello di contenuto, basso ranking nei motori di ricerca. Il peggio del peggio.
Non voglio qui entrare di nuovo nel merito di ciò che altrove è stato alla base di attente e scrupolose analisi e di cui si è già parlato, ma vorrei invece fare una riflessione un po’ più ampia sul merito dell’idea, quella che precede il via ai lavori, gli appalti alle aziende, l’esborso di finanziamenti.
Io credo che un portale come Italia.it, anche fosse stato impeccabile, non avrebbe avuto successo.
Qualsiasi informazione sulla rete, settore turistico a parte, ha tanto più valore quanto più è specifica, ricca, dettagliata. Questa è la rivoluzione della rete. La possibilità di trovare, se si naviga bene questo mare, risposte precise alle proprie domande. Non a caso i siti e i blog più utili sono quelli settoriali, che si focalizzano su un tema e ne esplorano tutte le sfumature.
Così allo stesso modo, se io voglio organizzarmi un viaggio con l’aiuto del web, o voglio trovare notizie ed informazioni su un luogo o un evento, tenderò al particolare e non al generale.
Se io vado su Internet perché voglio fare un viaggio in Italia, non andrò mai a cercare “Italia” sul motore di ricerca.
Un portale che vuole contenere informazioni su un intero Paese e promuoverne l’immagine non potrà che essere generalista, approssimativo, soffermarsi su ciò che è più noto, famoso, rilevante “a livello nazionale”.
E quindi, in definitiva, contribuire a quell’immagine superficiale e da cartolina di cui sono zeppe le bancarelle di mille piazze. E soprattutto non potrà mai essere così dettagliato su un Comune, ad esempio, come il sito del Comune stesso, o su un evento come al pari del sito che diffonde e promuove quell’evento.
Al contrario, la mole di lavoro per tenere in piedi un portale funzionale, dettagliato, quotidianamente aggiornato su tutto ciò che accade in una nazione avrebbe bisogno di uno staff composto da molte persone (competenti) che lavorasse a tempo pieno tutti i giorni.
Mi si potrebbe obiettare che l’intenzione è quella di fornire semplicemente un orientamento al turista, un mezzo per muoversi meglio tra le numerose risorse che parlano dell’Italia.
Torniamo al discorso di prima: non ce n’è bisogno. Perché di partenza, l’utente deve per forza contestualizzare la sua ricerca, deve delimitare il mare per riuscire a trovare qualcosa, deve specificare il più possibile. E facendo questo non arriverà su Italia.it.
La scommessa non è all’avanguardia, non è in linea con i principi su cui Internet si muove e su cui tutti i siti, in particolare quelli istituzionali, dovrebbero muoversi:
la ricchezza e la specificità dell’informazione e la totale mancanza di gerarchia nella sua gestione, la partecipazione e condivisione di risorse finalizzate alla costruzione di progetti come l’opensource, l’importanza dell’usabilità, dell’accessibilità e della funzionalità delle strutture (cioè la supremazia del punto di vista di chi andrà ad usufruire di quella risorsa su quello di chi la costruisce).
Sono tutti concetti, tecnologia e web a parte, che l’Italia fa in assoluto fatica a fare suoi.
Infine, investire nella rete significa investire nei giovani (il web appartiene a chi, a volere essere generosi, ha dai 40 anni in giù). Significa investire nella loro capacità di creare e innovare, progettare, decidere, che non è uguale a renderli meri esecutori di un progetto malpartorito a monte.