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Gli scritti Rielaborazioni

Osmosi

di Amintore

Circa una settimana prima di partire inizio a pensare ai vestiti che mi dovrò portare via. Inizio ad usare la biancheria di seconda/terza scelta, mutande e calzini vecchi e usurati che abitano nel cassetto da giorni immemori. Il giorno della partenza stivo una ventina di chili di vestiti profumati e stirati nel bagaglio. Arrivo a destinazione e l’appartamento ha un odore nuovo, la novità mi eccita. Disfaccio la valigia con cura. Un palmo sotto e uno sopra la pila di capi piegati, trasferisco il carico negli scomparti dell’armadio.

Dopo giorni riconosco l’odore dell’appartamento, non era mai cambiato in realtà. Uno dopo l’altro, sfilo i vestiti dall’armadio e li indosso di fretta con lo spazzolino in bocca. Passata qualche settimana, le torri ordinate di vestiti non esistono più, c’è solo un caos indistinto di colori e odori e pieghe. Ho utilizzato e lavato quasi tutti i vestiti almeno una volta. Ora profumano di detersivo scadente e noncuranza.

Un giorno scorgo una federa spiegazzata in fondo ad un sacchetto di plastica. Giace lì dall’ultimo pacco arrivato da casa, qualcosa come tre mesi fa. Con un sorriso ci vesto il cuscino.

Arrivata la sera mi stendo stanco sul letto. I miei pensieri, spesso pesanti, si fanno ariosi e nostalgici. Qualcosa mi inebria e mi scuote. Un odore. Mi annuso i vestiti: solito odore di mediocrità. Da dove viene? Le mani, il sapone! No. Ci rinuncio e lascio cadere la testa sul cuscino. Eccolo di nuovo, quel profumo di premura e maestria è ora proprio sotto il mio naso. Mi ci riempio i polmoni prima che svanisca, e sospiro.

Ho problemi di attaccamento, odio il distacco e gli addii. La mia analista me lo dice: non ti preoccupare, che anche se te ne vai le persone rimangono intatte. Sarà pure, ma gli odori no, quelli si perdono.

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