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Gli scritti

Ricatto

di W.E.

Faceva quasi buio ormai.
L’ora solare.
Solare. C’è qualcosa che non torna. L’ora solare dovrebbe essere quella estiva.
Ma, chi se ne frega, in fondo ogni anno è la stessa storia. In fondo aveva dormito un’ora di più.
Dormito. Vegliato, diciamo. La veglia. Questa sì è una bella parola. Vegliare qualcuno o qualcosa sa di accurato, sa di bene. Eppure le sue veglie erano tutt’altro che decise, tutt’altro che volute.
Improvvisamente si era accorto che non c’erano più bicchieri con le fattezze che preferiva.
Non so se vi succede, che istintivamente, allungando la mano per afferrare un bicchiere, oppure una forchetta nel cassetto, scegliete. Senza un motivo preciso scegliete un bicchiere piuttosto che un altro, una forchetta piuttosto che un altra. E, sicuramente, un coltello piuttosto che un altro.
E, col passare del tempo, vi accorgete che si tratta veramente di una preferenza. Senza poter addurre una spiegazione convincente.
Ah, mi appassiona questo argomento.
Insomma i bicchieri erano tutti nella lavastoviglie. Ne rimaneva uno, allungato e stretto.
Uno di quelli che a volte viene riempito vicino ad uno largo e più basso e incredibilmente riesce a contenere la stessa quantità di liquido. Solo rivedendo questa immagine era riuscito a confortarsi. Altrimenti avrebbe aperto la lavastoviglie, scelto uno dei bicchieri sporchi, versato poche gocce di detersivo sulla spugna e poi l’avrebbe strofinato con cura.
Bene, accettato, per stasera. Vediamo. Nel frigo la luce non si accende. Ah, sì, ecco.
La birra. Constatò che la birra era finita. Beh, avrebbe dovuto vedere i vuoti in giro, però. Non ce n’erano. E fino a ieri la birra, almeno mezza, in frigo c’era. Bene, non importa.
La bottiglia di vino è sulla mensola, già cominciata, con un tappo di plastica, di quelli che hanno l’anello intorno al collo per non cadere quando la bottiglia è aperta.
Può andare. Più difficile a stomaco vuoto, ma in fondo che cosa mi aspetta se non il letto.
Magari – aveva pensato – riuscirò anche a dormire. Versiamo. Un po’ di più, se no devo tornare a riempirlo.
Si andò a sedere poi, alla scrivania. Bicchiere sulla destra, da afferrare con la mano non occupata dalla penna. Ma cominciò a scrivere così subito, non si dice però. Cominciò a scrivere così di repente, e in maniera così avida che anche il vino fu consumato avidamente e se ne andò presto.
Era già di nuovo in cucina dunque, a riempire ancora il bicchiere. Ma sarà vero? Sarà vero che contiene la stessa quantità di quegl’altri? Dovette verificarlo. Aprì la lavastoviglie, prese il bicchiere con le righe rosse – versò poco detersivo sulla spugna – e lo strofinò con cura dentro e fuori.
Poi lo riempì col vino. Poi travasò il vino in quello lungo e secco. C’entrava tutto.
Avevano ragione dunque. Va bene. Visto che ormai siamo qui ne riempirò due.
Tornò di là, con i due bicchieri, uno in una mano e uno nell’altra, agitandosi un po’ al ritmo di una canzone che stavano mandando alla radio. Poi però, appoggiati i bicchieri, andò a spegnerla la radio. Aveva avuto due secondi per riflettere sul fatto che quella canzone non era niente di che.
Dopo appena un quarto d’ora, la penna correva sul foglio come indemoniata, il vino era già di nuovo finito. Maledizione. Che noia. Forse dovrei direttamente portare qui la bottiglia.
Si ma poi lo sapeva che era tutto studiato, c’era una strategia alla base di tutto: quella di non abusare. Quella, per l’appunto, di doversi ogni volta alzare dalla sedia per andare a prendere altro vino. Il che, nella sua mente, serviva da deterrente. Insomma, più o meno.
Ah, che brutta parola, deterrente.
Le armi atomiche di USA e URSS durante la Guerra Fredda che lo era, la pena di morte che non lo è. Alle persone piace molto usare questa parola. Insomma, la bottiglia di vino nell’altra stanza decisamente non funzionava da detterrente.
Ma non andò a prenderla. Cancellò la parola deterrente, scrisse invece la parola ricatto, mise un punto dopo l’ultima frase e andò a sedersi sul divano a fumare una sigaretta.

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