Voglio lamentarmi. Mi riesce sempre particolarmente bene.
Leggo che non lo dovrei fare, mi dico che non serve a niente. E ci provo, quando vado alle poste, ad arrivarci con uno spirito leggero, senza troppa fretta, col sorriso pronto per la signora che sta allo sportello, con un Buongiorno e un Grazie sulla lingua.
Ma non c’è verso. Bastano dieci minuti e già mi irrito. Nasce quasi sempre uno scambio di battute con qualcuno in fila con te, le lamentele e gli sbuffi in comune sono più forti di quelli individuali. Cerco di prenderla a ridere e in effetti mi viene da ridere. Mi piacerebbe che qualche volta mi stupissero in positivo e arrivo lì con una certa predisposizione a questo tipo di sorpresa. La speranza è sempre l’ultima a morire. Insomma, fatto sta che prendo il numero per la sezione “raccomandate, pacchi celeri, spedizioni”. Prodotti postali nel gergo. Nessuno degli sportelli avanza con i numeri per quella sezione. E in effetti c’è solo uno sportello, pare, adibito in quel momento a quella funzione. E lì dietro si agitano due signore, una con lo sguardo corrucciato e l’altra che le sta alle spalle, con i capelli appena fatti (se ne ricorda spesso perché ci passa continuamente le mani). Stanno cercando di risolvere qualche misterioso problema. Dietro a ciò che è visibile deve consumarsi qualcosa di ulteriore, si sentono voci concitate e irose. Aspetto una buona mezzora, insieme a una ragazza e ad una signora che si agitano esponenzialmente. Alla fine del climax, si va a protestare. Scopro con rammarico che esiste un’altra stanza per i pacchi celeri, le raccomandate e i pacchi voluminosi. Mi sto agitando anch’io. Mi reco nell’altra stanza, c’è una bella fila e uno sportello unico senza numero. Persa la precedenza, cerco di capire la situazione.
Vedo facce scure. Sono quasi le due e – fra l’altro – vorrei andare a mangiare.
La signora allo sportello è corrucciata pure lei, parla con un altra, sento qualcosa del tipo “Se non ce lo dice la direzione…ma noi…eppure”, si sta arrabbiando.
Ho almeno cinque persone davanti a me, la vedo dura. Poi comincia a passare una voce, da una testa all’altra, arriva a me: “Devono fare il cambio di cassa. Chiuderla e riaprirla.” La signora che mi passa la comunicazione aggiunge: “Però non dovrebbe volerci molto”. Penso che la signora è una persona positiva. Mi piace tanto questo spirito. Ma per me è troppo. La signora tra parentesi avrà una cosa come venti raccomandate da fare tutte insieme.
Esco. Vado dal tabaccaio, faccio pesare il modesto pacco, compro francobolli normali, vado alla buca delle lettere e lo spingo finché non ci passa.
Poi a casa, dove mi aspetta il pesce arrosto con le patate.
3 risposte su “Spedire un pacco”
Mentre eri lì in attesa hai controllato se per caso avevano l’ultimo CD di Celentano? Se non ho capito male ce l’hanno in esclusiva.
E hai chiesto un paio di quotazioni per un leasing?
Certo che anche tu, andare in posta per spedire un pacco, lo dovresti sapere che è l’ultimo dei loro pensieri.
(curiosa coincidenza l’inconsapevole citazione delle Mitiche Poste Italiane nello stesso giorno)
🙂 coraggio
Non ho notato il CD di Celentano, ma ho letto su un cartello “Ordina qui i tuoi libri preferiti con il 15% di sconto”.
Ho solo cominciato ad immaginare un’interazione con la signora dai capelli appena fatti per chiederle infomazioni.
Poi mi è venuto da ridere.
Come in molte altre situazioni critiche e note per le loro disfunzioni – penso, che so, a Trenitalia – dovrebbero secondo me adottare più spesso un tipo di comunicazione ironica (come hanno fatto proprio con Trenitalia in quello spot con Neri Marcorè).
A volte sembra che il nostro Paese non sia particolarmente incline all’ironia. Le pubblicità parlano molto più frequentemente di miti, epopee ed eroi.
Perché non apporre un cartello all’entrata di ogni sede delle Poste Italiane con scritto: “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”?
Prossimamente ,
quando entreranno anche nel mercato dello spettacolo, probabilmente organizzando piccole scenette per intrattenere i clienti.