1997, New York. Regista Amir Naderi, iraniano impiantatosi negli Usa un ventennio fa, che non sembra essersi lasciato catturare dallo sguardo dolciastro del turista capitato nella grandissima metropoli. Film di donne, da non scambiarsi per quelle pellicole che si definiscono malamente “al femminile”, che fa tanto quote rosa obbligatorie. Protagoniste Lucy Knight, Erin Norris, Sara Paul. Quest’ultima la potete ritrovare in Marathon, ultimo film del regista, del 2002. Prima di questi, Manhattan by numbers, del 1993. Trilogia su New York.
Una madre con la propria figlia, polaroid su polaroid di ricordi anticipatamente perduti. Una seconda donna, innocentemente dispersa, cerca una abitazione per liberarsi dalle pastoie morbose e annichilenti del suo compagno. Una terza, sulle tracce del suo cane e della sua compagna. Microcosmo impotente, di volontà vanificate. Tre storie invischiate sullo sfondo di una città che deforma il concetto di umanità, o meglio ne definisce una parte, centrando lo sguardo sulla progressiva desertificazione dei rapporti umani, sulla disabilità di una comunità individualista e sorda, sulla minoranza visiva dei disperati. Come ricorda Saramago in Cecità, siamo metà indifferenza e metà cattiveria. Ciò che non vediamo non esiste. E ciò che lentamente vediamo e lasciamo esistere, a volte, può ferire. Però, sembra suggerire Naderi, esiste un approdo, ed è fatto dalle lacrime che portano alla solidarietà tra esistenze paralizzate.