Non era semplice trarre un film dal romanzo di Saviano, e la curiosità di scoprire che strada Garrone avesse intrapreso mi mangiava a morsi. Non avevo dubbi che fosse un bel film e Gomorra è un film più che bello. Né avevo dubbi che la scelta di Garrone sarebbe stata quella giusta. Lungi dal realizzare quello che avrebbe potuto facilmente e plausibilmente essere una sorta di documentario, Garrone sceglie quattro storie intrecciandole, inventando nomi e personaggi senza usare la precisione etnografica di Saviano (come sottolinea giustamente un mio amico). E ciò è proprio quanto permette alla trasposizione cinematografica di essere un’opera ottimamente riuscita – oltre ovviamente alla bravura degli attori (per la maggior parte alla prima esperienza), alla sapienza registica, e alla freddo e crudo senso di realtà che ti aggancia alla sedia. Come dice lo stesso regista “È un film apocalittico. Un film senza speranza.” La denuncia, come nel romanzo di Saviano, è tanto più forte quanto più le cose sono raccontate senza scalpore, nella loro bestiale quotidianità. Questa è la quotidianità di Casal di Principe, di Scampia, di Secondigliano ma non solo: del nord Italia, dell’Europa, degli Stati Uniti, in cui la Camorra non si traduce in morti ammazzati ma in un intricato sistema che coinvolge trasversalmente mille territori e mille settori commerciali e produttivi.
Alcune scene magistrali, e attori come Gianfelice Imparato e Salvatore Cantalupo – giusto per citare due nomi – che finalmente non fanno sembrare Toni Servillo una spanna sopra tutti.
Oggi in gara al Festival di Cannes.
Una risposta su “Gomorra”
Acc… l’hai già scritta. va beh, ne faccio una di risposta, se ho un attimo…