Il ghigno di Walt, alla morte della moglie, diventa ancora più rabbioso, le sue parole e il suo sguardo più taglienti, le sue rughe più profonde. Non c’è più nessuno, tranne Daisy, cane fedele e innocuo, che riesce a comprendere e a stare vicino a questo reduce della guerra in Corea, ex dipendente della Ford, che vive ormai solo in uno dei quartieri più malfamati della città. Il rapporto con i figli e i nipoti è presseoché inesistente e si muove su maglie sbagliate, e la corazza di Walt sembra imprenetrabile, finché si troverà suo malgrado a difendere e a conoscere due ragazzi asiatici di etnia Hmong, fratello e sorella, che gli vivono accanto con la loro famiglia.
Gran Torino è bellissimo.
Eastwood parla di odio, amore, accettazione, colpa, perdono, vita e morte con una maestria incredibile. L’umanità di Walt, inabissata nei sui ricordi più neri e incancellabili, emerge nella scena finale, incontrando la giustezza di un atto che è insieme un vero atto di valore e di espiazione.
Una risposta su “Gran Torino”
Concordo a pieno, un gran bel film e un grandissimo Clint Eastwood in una delle sue due espressioni preferite: quella senza sigaro!