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Gli scranni, i media, la polis

Il monito della Cei

di W.E.

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Riporto per intero la “Nota del Consiglio Episcopale Permanente a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto” (Roma, 28.3.2007) a cura della CEI.

Ciò che mi impressiona sempre, devo dire, è la naturalezza con cui la Chiesa Cattolica (come tutte le altre Chiese, d’altronde) parla della sua verità. Certo è chiaro che se non lo facesse in questo modo tutta la struttura smetterebbe di avere un senso. Ma è assurdo che il presupposto su cui la forza religiosa si basa sia: tanto più qualcosa non è dimostrabile tanto più la daremo per vera (lasciando da parte che sia consona, giusta, opportuna etc.).
Lo so, è banale quello che dico.
Ma non posso farci niente, il mio stupore non finisce mai di esaurirsi.

In fondo alla nota, due link che non parlano di “frutti preziosi di amore, fedeltà e servizio agli altri” ma di fatti.

Il grassetto è mio.

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L’ampio dibattito che si è aperto intorno ai temi fondamentali della vita e della famiglia ci chiama in causa come custodi di una verità e di una sapienza che traggono la loro origine dal Vangelo e che continuano a produrre frutti preziosi di amore, di fedeltà e di servizio agli altri, come testimoniano ogni giorno tante famiglie. Ci sentiamo responsabili di illuminare la coscienza dei credenti, perché trovino il modo migliore di incarnare la visione cristiana dell’uomo e della società nell’impegno quotidiano, personale e sociale, e di offrire ragioni valide e condivisibili da tutti a vantaggio del bene comune.
La Chiesa da sempre ha a cuore la famiglia e la sostiene con le sue cure e da sempre chiede che il legislatore la promuova e la difenda. Per questo, la presentazione di alcuni disegni di legge che intendono legalizzare le unioni di fatto ancora una volta è stata oggetto di riflessione nel corso dei nostri lavori, raccogliendo la voce di numerosi Vescovi che si sono già pubblicamente espressi in proposito. È compito infatti del Consiglio Episcopale Permanente “approvare dichiarazioni o documenti concernenti problemi di speciale rilievo per la Chiesa o per la società in Italia, che meritano un’autorevole considerazione e valutazione anche per favorire l’azione convergente dei Vescovi” (Statuto C.E.I., art. 23, b).

Non abbiamo interessi politici da affermare (ma li affermano ugualmente negli ultimi cinque paragrafi n.d.r.); solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene comune, sollecitati oltretutto dalle richieste di tanti cittadini che si rivolgono a noi. Siamo convinti, insieme con moltissimi altri, anche non credenti, del valore rappresentato dalla famiglia per la crescita delle persone e della società intera. Ogni persona, prima di altre esperienze, è figlio, e ogni figlio proviene da una coppia formata da un uomo e una donna. Poter avere la sicurezza dell’affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di sicurezza e di fiducia nella vita. E questo patrimonio è garantito dalla famiglia fondata sul matrimonio, proprio per l’impegno che essa porta con sé: impegno di fedeltà stabile tra i coniugi e impegno di amore ed educazione dei figli.

Anche per la società l’esistenza della famiglia è una risorsa insostituibile, tutelata dalla stessa Costituzione italiana (cfr artt. 29 e 31). Anzitutto per il bene della procreazione dei figli: solo la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni. È quindi interesse della società e dello Stato che la famiglia sia solida e cresca nel modo più equilibrato possibile.

A partire da queste considerazioni, riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume.

Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile.

Queste riflessioni non pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni persona; a tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra sollecitudine pastorale. Vogliamo però ricordare che il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza (si dice cioè che è la Chiesa che può e deve entrare nel merito della dimensione privata dell’esistenza n.d.r.).

Siamo consapevoli che ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive. A questa attenzione non siamo per principio contrari. Siamo però convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare.

Una parola impegnativa (inizio dell’affermazione dell’interesse politico n.d.r.) ci sentiamo di rivolgere specialmente ai cattolici che operano in ambito politico. Lo facciamo con l’insegnamento del Papa nella sua recente Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis: “i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana”, tra i quali rientra “la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna” (n. 83). “I Vescovi – continua il Santo Padre – sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato” (ivi). Sarebbe quindi incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto.

In particolare ricordiamo l’affermazione precisa della Congregazione per la Dottrina della Fede, secondo cui, nel caso di “un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge” (Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003, n. 10).

Il fedele cristiano è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con l’insegnamento del Magistero e pertanto non “può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società” (Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002, n. 5).

Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona (cosa significa “autenticamente umana”? n.d.r.) è contestata in modo radicale. Ma è anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica.

Affidiamo queste riflessioni alla coscienza di tutti e in particolare a quanti hanno la responsabilità di fare le leggi, affinché si interroghino sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future delle loro decisioni. Questa Nota rientra nella sollecitudine pastorale che l’intera comunità cristiana è chiamata quotidianamente ad esprimere verso le persone e le famiglie e che nasce dall’amore di Cristo per tutti i nostri fratelli in umanità.

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6 risposte su “Il monito della Cei”

Giuro che avrò iniziato almeno 5 commenti, poi cancellati perché rimango sempre senza parole.

O a me o alla CEI sfugge qualcosa di fondamentale, e non so quale delle due ipotesi sia migliore.

Non so che dire.
Io cerco di mantenere la calma, di elaborare i fatti con serenità, ma proprio con loro non mi riesce più. Neanche Berlusconi mi faceva quest’effetto.
Mi si gonfiano le vene sulle tempie.

E in fondo, non capisco granché la strategia di questi moti reazionari (anche se è ovvio che su questa proposta di legge non potevano tacere). Perché immagino che lo scopo della Chiesa sia rinfoltire le sue fila, considerato che i fedeli sono in pericoloso calo da tempo.
Questo non mi sembra un modo oculato di farlo, dato che dall’arrivo di Ratzinger in poi sono addirittura i cattolici quelli che si indignano di più.
E non credo che possano permettersi di andare più di tanto in là.

Non lo so, ma temo che prima o poi mi toccherà aprire una categoria apposita.

Vedi, anche a te evidentemente sta sfuggendo qualcosa di fondamentale.

Forse. Perché anch’io la vedo come una strategia suicida.

Per il momento io e te rinfoltiamo le fila degli attoniti.

Ho alle spalle un’adolescenza molto praticante, boy scout, la fidanzata ultra credente. Sono sempre stato decisamente laico ma ero dentro quel mondo. E oggi è un peso che ancora mi porto dentro perché certi “valori” te li infilano nella pancia, non nel cervello perché col cervello ci si lavora meglio. Io so come la penso, alneno quasi sempre, ma la pancia mi dice che sono un peccatore, e comunque un peso addosso lo sento. Poi leggo questa “Nota del Consiglio Episcopale Permanente a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto”, e mi riconcilio con me stesso, la mia pancia si rilassa e mi da ragione. Detto questo io non credo, come voi, che questa sia una strategia suicida. C’è ancora troppa gente che crede nell’infallibilità papale e c’è ancora troppo potere da mantenere con questi “valori”. La chiesa non si può permettere di lasciar passare una cosa del genere semplicemente dichiarandosi contraria. Ci sono tanti politici che usano la chiesa per i loro interessi così come la chiesa usa i politici per i suoi. È vero, tanti cattolici magari, si indignano, ma restano una minoranza, perché non c’è niente da guadagnare a stare nella chiesa senza essere allineati. Ricordiamoci sempre che non stiamo parlando di valori spirituali e di etica ma di soldi e di potere.

Sì, infatti. Sarebbe utile ricordarselo sempre.
Sono d’accordo con quanto dici TCT, la Chiesa non potrebbe permettersi di non fare un bel polverone attorno alla questione. Si toccano i suoi punti più saldi.

A questo proposito è allora forse utile fare un discorso diverso, su cui ancora non avevo posto l’accento. Mi ci ha fatto riflettere un amico di un’amica conosciuto a Roma in questo fine settimana (dove tra parentesi ho fatto anche incetta di bellissime chiese che non conoscevo, al Celio, sede di una piuttosto raccapricciante commistione di militari e preti).

Con ammirevole pacatezza, questo ragazzo sosteneva che ciò che lo infastidisce non è tanto il comportamento della Chiesa – piuttosto ovvio – quanto quello dei politici.
Il paragone con la Spagna viene facile: anche là Chiesa e comunità cattolica si sono infuocate con i Pacs, ma il parlamento spagnolo ha proseguito il suo cammino senza tante bagarres (si scriverà così al plurale?).

In Italia la cosa sembra impossibile. E direi non solo per la presenza di partiti fortemente orientati alla religione cattolica.
Non stiamo parlando di di valori spirituali e di etica, ma di soldi, potere e voti.

Politici e media. La Chiesa fa chiaramente e alacremente il suo lavoro, ma se politici laici e media laici si comportassero come tali, non si porrebbe nemmanco il problema. E invece il minimo peto papale diventa immancabilmente l’apertura del principale tg della tv pubblica italiana, per dirne una.

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