Marta, laureata in filosofia teoretica, trova lavoro in un call center.
Qui tutte le strategie possibili sono utilizzate per motivare e insieme mortificare centraliniste e venditori.
I “capi” (Sabrina Ferilli e Massimo Ghini), temuti ed adorati, dietro il loro ostentato e finto successo, riversano sulle loro scrivanie le frustrazioni e i fallimenti della propria vita privata. Il difensore dei precari per definizione, il sindacalista Mastandrea, sembra non capire mai il contesto in cui si muove; la collega e coinquilina di Marta fa di tutto per rendere la vita impossibile a se stessa e a sua figlia, la mamma – a Palermo – è malata di cancro e il fidanzato – ormai ex – è a studiare a San Francisco.
Il quadro, disastroso, è reso da Virzì con un tocco leggero, simile al modo in cui la protagonista si muove tra gli eventi, allegra ma anche ferma, e poi riflessiva, e poi allegra di nuovo. Una Roma assolata sta dietro al tutto, e il film – una lettura insieme scanzonata, amara e surreale dell’italia di oggi – sembra sospeso come le scene che aprono e chiudono il film: l’intera città che balla e un pranzo in giardino che pacifica tre generazioni di donne.
Consigliato. Moltissimo.