Fur.
Non mi stupisce che la figlia di Diane Arbus si sia inalberata alla visione di questo ritratto della madre. Ma lasciando da parte le questioni biografiche e la loro veridicità (il film vuole essere immaginario e semplicemente ispirato a), l’amicizia/amore tra Diane e il malato di ipertricosi Lionel finisce per sembrare il pretesto o ragione principale per cui la fotografa decide finalmente di seguire il suo istinto e spendere il resto della sua vita come ritrattista di “freaks”. E, peggio, lo fa con uno stile hollywoodiano un po’ trito. L’apparizione di Robert Downey Junior sotto i peli è decisamente poco credibile. Infine. Ho realizzato che spesso la bellezza algida di Nicole Kidman, quantunque brava, viene prestata un po’ troppo alla macchina e finisce per seppellire i personaggi che interpreta. Non dove, invece, le viene applicato un naso posticcio (The Hours) o il regista incide con una maggiore caratterizzazione (Da morire).
Anche libero va bene.
Kim Rossi Stuart è qui anche regista. Mi sembra un’opera prima niente male. Lo spaccato di una famiglia e dei difficili rapporti tra genitori e figli, nella confusione di ruoli, negli errori, nel bene e nel male.
Niente di eccezionalmente nuovo, a volte un po’ forzato, ma anche sottile, attento ai dettagli, con un gran merito agli attori, bravi tutti – in particolare Alessandro Morace, il bambino protagonista.