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Gli scritti

Acquari e monitor

di Alessandro Pagni

Come affonda sana la tua bocca dentro al mio cuscino.
Mentre diventi una mummia di coperte leziose, con gattini e cani che corrono su prati di pile.
Vorrei essere una federa di carne che bolle.
Vorrei sciogliere il freddo e pensare che sia quello il tuo cruccio.
E diventare un lenzuolo, la stoffa delle tue mutandine o un ricordo lontano.
Te ne resti lì tranquilla, e nel sonno il tuo corpo si arrende al riscatto e si concede la tregua di un tardo pomeriggio di Marzo.
Fai bene, siamo qui, ma in fondo…mai per restare.
I minuti dentro al tuo lunghissimo caffè fumante si raffreddano e perdono senso.
Non abbiamo ossa abbastanza robuste per questo freddo di marzo.
Le battaglie di pixel si placano e non ci sono più post né feeds, finestre su mondi interminabili; e non c’è più bisogno di darmi il salario di un bacio sfuggente, tra i baffi che dici di amare e poi odi.
Il tuo pisolino è il centro di un cosmo che puoi semplicemente scordare per un’altra mezz’ora.
Intanto Daria, sogna stanze acquario con pesci rossi in formazione di volo, e stringe gli occhi per concentrarsi sulla rotta del suo desiderio, come se l’universo d’un tratto fosse diventato liquido.
Io mi perdo nel labirinto di un secondo capitolo, che annodo e sgroviglio come la patetica Penelope che non vuole guardare al domani e la tesi langue, e trema sullo schermo, per lo stress dei miei occhi iniettati di brace.
Vorrei coricarmi con te e scordarmi del tempo.
Del freddo di marzo.
Di quel pianto isterico che mi porto dentro.

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