IL MIGLIORE AMICO DELL’UOMO
I navigli, Milano duemilacinque, entriamo in una libreria, a cinquant’anni dalla morte pubblicano delle foto inedite. Penso. È caldo e mi stai occupando il letto.
Questo lenzuolo si è tutto appiccicato. Scusami. Mugoli qualcosa di incomprensibile. Vado in cucina, apro il frigorifero. Prendo una birra. La apro. Sorseggio. Godo. Esco. Fatti più in là, per piacere. Grazie. La violenza non è mai banale, il dolore è assicurato, certo. Non ne conosciamo l’intensità e la durata. Cosa sono questi sospiri? Ti chiedo solo di ascoltare. Qualcuno dovrà pur aiutarmi a tirare le fila. Va bene. Grazie.
Sei un tesoro.
Arrivano sul posto, danno un’occhiata rapida al quadro d’insieme, non possono fermarsi a riflettere, devono agire. Sono da poco passate le 18.00 del 30 settembre 1955. Scendono dall’auto di pattuglia. Il rumore di fondo, un misto di urla, brusii, sirene, vento, impedisce la concentrazione. Il vento si alza, i rottami ticchettano sull’asfalto. Tre autovetture: una Ford Sedan, una Chevrolet familiare e qualcosa che a prima vista sembra un pacchetto di sigarette accartocciato. C’è anche un’ambulanza che sta per caricare un ferito. C’è n’è un altro in piedi che cammina al centro della strada.
Donald Turnuspeed è un giovane studente californiano, non ha neanche trent’anni e la moglie incinta, la leggenda narra che abbia appena visto la “Valle dell’Eden”. Barcolla ma non cade. È immobile, la faccia ferita, e un pugno stretto sul petto a tenersi le costole, sarà riconosciuto innocente dall’accusa di omicidio colposo.
La dinamica è chiara. La Ford ha svoltato a sinistra e non si è accorta della Porche 550 che viaggiava come un riflesso di specchio sull’asfalto, inizia la manovra arriva ad occupare il centro della strada: l’impatto, frontale. Il lato sinistro della spider viene spazzato via, il cofano anteriore si apre, quello posteriore vola via, la corsa finisce su un palo della linea telefonica. James Byron Dean, ventiquattrenne attore di Fairmount, Indiana, ha avuto la peggio. La t-shirt bianca impregnata di sangue e la posa di una marionetta a riposo. Le vertebre si sono rotte e la testa si è appoggiata sulla spalla. Estrarlo dal cockpit non deve essere stato facile, i piedi erano incastrati sotto il piantone dello sterzo e dentro la frizione. È ancora vivo quando lo caricano sull’ambulanza, tra l’altro saranno anche tamponati mentre vanno all’ospedale.
Oltre il palo del telefono si intravede un sedile, un uomo proiettato dall’urto fuori dall’abitacolo giace nella terra polverosa. Rolph Wütherich, ventinove anni, tedesco, il meccanico, la faccia sul terreno, le gambe e le caviglie gli hanno fatto assumere una posa innaturale. Al momento se la cava con un mese di ospedale e sette di riabilitazione. Morirà nella sua terra natia il ventuno luglio del 1981 a seguito di un incidente stradale.
Volevo raccontare una fatto banale, se cambiate i nomi dei protagonisti lo sarà. Dimenticavo. Io sono il terzo sconosciuto, e rimarrò tale.
Ringrazio il mio Zeno, un boxer fulvo di quattro anni che ha la pazienza di ascoltare.
Appuntamento involontario per tre perfetti sconosciuti – parte I
Appuntamento involontario per tre perfetti sconosciuti – parte II
8 risposte su “Appuntamento involontario per tre perfetti sconosciuti – parte III”
l’Io, che immancabilmente prende il sopravvento prepotentemente, ha fatto si che ora si conosce più il terzo che i primi due. Prova a ignorarti, lo so è dura, ma provaci almeno una volta. Non è un consiglio, nè un suggerimento, nè tanto meno un giudizio velato; diciamo che è un po’ tutte e tre le cose insieme, richieste non da Me o da Io, ma da un continente intero. Non c’è più birra, come te lo devo dire?! Dimenticati D’io; buttati nella merda, non fare finta, non limitarti a sfiorarla col dito mignolo tanto per ammutolire la coscienzuccia plastico-comunista; ricordati che all’origine fu il catarro.
E soprattutto non ti impermalosire, perché non puoi niente contro il Vento!!!
Ah, si!
È facile nascondersi dietro un nick?
Figlio di puttana.
Non ti impermalosire.
Anzi.
Rilancio.
Vieni a trovarmi.
Sono dell’idea che con quelli come te non bisogna parlare.
Si deve menare.
Visto che sei un cagasotto non ti farai vivo.
Farò come i mafiosi.
Non me la rifaccio con te.
Colpirò gli affetti.
A partire dal padrone di casa.
È una minaccia.
Dici che sei tutto d’un pezzo.
Dimmi chi sei oppure autorizza W.E. a farlo.
Paura è?
Troverai sicuramente una scusa del cazzo?
Prevedibile. Non quanto me. Però io meno.
Sarai mica Giuliano Ferrara?
Si, ho paura.
Non so chi sia questo nick.
Non mi impermalosisco: Tonio è effettivamente un figlio di puttana.
Non verrò a trovarti perché non voglio né menare (non ne sono capace) né parlare (e ormai nemmeno più scrivere).
Visto che effettivamente sono un cagasotto, non mi farò vivo.
Lascia stare il padrone di casa, non è certo tra i miei affetti.
Ti dico volentieri chi sono: TONIO.
Si, ho paura. E non solo di te.
Perdonami se puoi, spesso la volontà raziocinante batte l’istinto e viceversa.
Addio.
Non hai niente da farti perdonare.
“Actioni contrariam semper et aeqalem esse reactionem: sive corporum duorum actiones in se mutuo semper esse æqualis et in partes contrarias dirigi”
Et in arcadia ego.