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Teatro

Castri e Strindberg

di W.E.

A teatro vedo Il padre di August Strindberg, per la regia di Massimo Castri, con Umberto Orsini. Il teatro è grande, il proscenio ampio e gli attori non ci arrivano quasi mai: non si sente granché. Lo spettacolo è in tre atti da quaranta minuti l’uno, con due intervalli di venti minuti ciascuno. Lo scopro all’entrata e mi prende un po’ male.  Ma è un invito, ci vado coi miei – cosa che mi fa piacere di per sé –  d’altra parte dentro un teatro ci entro sempre volentieri. Non è il tipo di teatro che mi capita di vedere, in effetti, ma questo lo so dall’inizio, quindi tutto bene. Comunque alla fine non ci riesco. Non ci credo, non ci credo, non ci credo. Tutta l’attenzione si sposta sul testo, perché proprio non ci entro. Vorrei chiedere: “Ma perché fate di tutto per non farmici entrare?”.

Tutto è esattamente come deve essere, fino ai saluti, agli applausi finali all'”attore”. Perché è così che si fa. Cioè, non lo so. È così che si fa?

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