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Cous cous

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Ci sono tanti film che ho visto nell’ultimo mese e mezzo.
Nella settimana natalizia, mentre fronteggiavo il virus intestinale che mi allontanava dalla sacher e dai bombetti, e combattevo con le pagine di un sito infinito, ho avuto almeno un po’ di soddisfazione col cinema. Oltre a Nella valle di Elah, ho visto La promessa dell’assassino e Irina Palm.
Cronemberg è ormai parecchio fuori dal suo seminato, ma in generale non mi dispiace mai quando accade che un regista ti spiazzi. In verità l’aveva già fatto con History of Violence, e, secondo me, l’aveva fatto parecchio meglio. Questa volta si tratta solo di un buon film di genere. E forse neanche tanto buono per il genere. Né per Cronemberg. Niente di eccezionale insomma. A parte Viggo Mortensen, come direbbe qualcuno.
Irina Palm è stata una piacevole sorpresa. Irriverente, ironico, originale, commovente.
Poi Paranoid Park perché per gli ultimi film di Gus Van Sant ho un debole, e anche per questo, poi ho inciampato in Bianco e Nero perché volevo andare a vedere American Gangster ma ho sbagliato l’orario (e, ormai in città, l’unica altra scelta era il film di Moccia). Poi ho visto anche quello e ne ho evinto che Denzel Washington dovrebbe fare sempre il ruolo del cattivo.
E poi c’è Cous Cous.
Cous Cous – che, per chi non lo ha visto, non è una metafora – mi ha colpito. Per entrarci ci ho messo un po’, perché la macchina da presa segue per lunghissimi minuti una stessa scena, uno stesso volto, una stessa situazione. Non ci siamo abituati, non in questi termini. All’inizio lo spettatore ne può essere spaventato. Ma poi una sceneggiatura che non era dato immaginare prende piede a poco a poco e si rimane inchiodati allo schermo per scoprire il destino dei protagonisti, che sta tutto dentro due enormi pentole in giro per una piccola cittadina vicino a Marsiglia.

Infine, se ancora non avete visto La sposa turca, sappiate che state facendo un grosso errore. Ma siete ancora in tempo per rimediare.

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