Il dativo etico indica partecipazione psicologica e/o emotiva da parte di chi parla a quanto espresso nel predicato. Per questo a volte è confuso con il dativo di interesse (o dativo di vantaggio/svantaggio).
Esempi:
“Che mi combini?”
“Mi è morto il gatto”.
“Il bambino non mi mangia”.
Mi hanno accusato – giustamente – di usarlo in modo continuo e assertivo, nell’ambito di una situazione organizzativa in cui avevo diverse responsabilità.
“Mi sposti quello, mi controlli quell’altro, mi viene il camion alle… etc.”
Da quando me l’hanno fatto notare ho cominciato ad accorgermi che lo usavo continuamente, quasi in maniera involontaria.
Si tratta di una questione piuttosto antipatica perché era un uso tutt’altro che etico di questo dativo: era il dativo di quello che – a parte il coinvolgimento emotivo, che c’era tutto – comanda a destra e a manca e parla del lavoro fatto o da fare come se fosse solo il suo, non contemplando affatto la partecipazione e l’apporto delle altre persone.
È orribile scoprire che non ci si accorge delle parole che si usano nel momento in cui si usano.
Diceva bene Moretti, le parole sono importanti.
Bisognerebbe aggiungere a libri e manuali un nuovo dativo: il “dativo egocentrico (o comandone)”.
E poi sconsigliarne vivamente l’uso.