Ella si struggeva, pateticamente.
Le caviglie bianche, sciolte nell’acqua che filtrava da sotto la porta.
Sorridendo alla somiglianza del fluido impertinente con quello che gli scendeva dagli occhi e sperando, in accordo con l’irrealizzabilità dei desideri, che si fondessero insieme e finissero per sommergerla.
Ella si struggeva, pateticamente.
Nell’ovvietà del dolore, nell’intera consapevolezza di conoscerne ogni singolo moto, senza avere, in cuor suo, neanche un briciolo di voglia di distaccarsene. Fino ad averne piena la bocca, fino a percepirlo solo col corpo, che diventasse vero. Vero, che il pensiero non potesse aiutarlo a crescere, che le mangiasse le gambe, le mani, il cuore e infine, grazie a dio, il cervello.
Perché è lì, nel cervello, che si annidano tutti i mali.
Ella sapeva. Sapeva che il cervello va ucciso.