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Cinema

L’amico di famiglia

di W.E.

Il film di Sorrentino è decadente, una malinconia amara lo invade; i personaggi più umani (e più bisognosi d’affetto) sono proprio quelli che conoscono il proprio destino, nondimeno desiderano con una speranza ingenua di vederlo improvvisamente ribaltato.
L’amico di famiglia (Rizzo è bravissimo), con la sua camminata, il suo modo di parlare, l’inseparabile busta di cui non è dato conoscere il contenuto, fa il sarto ma soprattutto l’usuraio.
Il suo compare (un Bentivoglio dall’accento veneto), vive in una roulotte scassata, ha perso la sua anima gemella ed è un patito del country.
Di specchio alla bestia, la bella (Laura Chiatti), che ha però già perso la purezza, conosce bene l’inganno, il compromesso e tutti gli strumenti a sua disposizione.
Nessuno si salva – tutti sono a loro modo colpevoli -, tutti procedono.
L’occhio di Sorrentino è attento, la fotografia carica, il film è ricco e tocca le corde che deve toccare. Ma mi succede, come con quei film che attendo con ansia e su cui – perseguendo l’errore – proietto le mie aspettative, che da qualche parte mi fa acqua. In questo caso vedo tanta buona carne al fuoco, ma tanta. Vedo qualche soluzione facile, vedo la conoscenza del cinema che dà vita ad un’estetica non sempre funzionale al discorso, vedo la perdita di quella sintesi e quella sincerità che rendono l’opera, se non altro per il suo autore, necessaria.

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