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Punto e Virgola

Mediazione, politicamente corretto e parentetiche

di W.E.

Io amo le parentetiche. Non è un amore totale come per il punto e la frase breve, ma ho una vera passione per le frasi incastrate tra le virgole e i trattini ([eccola] che tra l’altro, è l’unico modo per farmi accettare l’esistenza dei periodi troppo lunghi).
Purtroppo scopri col tempo che l’uso non è solo dato dalla fissazione ([numero due] come per il bicchiere preferito) ma anche dalla tua modalità di scrivere, parlare e pensare.
Dico purtroppo perché le parentetiche servono spesso ad ammettere varianti al discorso, il che va bene se non fosse che ciò può anche impedire di essere chiari e soprattutto di prendere una posizione quale che sia l’argomento della discussione.
Io parlo e scrivo con milioni di parentetiche. E difatti, non prendo posizioni nette quasi mai. Lo considero un mio enorme difetto. Ne soffro. Certo c’è anche il lato buono della questione, quello di partire dal presupposto che esistano punti di vista diversi dal mio, ma non è solo questo il caso. Il politicamente corretto, in effetti, mi ha sempre indisposto.
Ci feci una tesina all’università, e scoprii un libro divertentissimo: “Fiabe della buonanotte, politicamente corrette” di James Finn Garner. I nani erano “verticalmente svantaggiati” e quando Cappuccetto Rosso va dalla nonna le dice: “Nonna, ma che naso grande hai. Non che ti stia male, sia chiaro…”.

3 risposte su “Mediazione, politicamente corretto e parentetiche”

In un mondo sempre più manicheo (chissà perché questa parola mi evoca l’immagine di un individuo in abiti del settecento, con la parrucca bianca, i pantaloni attillati al ginocchio, le calze di seta chiara e le scarpe con la fibbia, fuori dall’effettivo contesto storico e culturale) ben vengano le parentesi divaganti e dubitative, e i mai troppo utilizzati punti di domanda.

Personalmente mi sento colpevole di un limitato ricorso al punto e virgola, che relego generalmente agli elenchi puntati ma che so capace di ben altre distinzioni senza per questo creare distacchi netti.

Per il politicamente corretto il dubbio è sempre che sia più utile a chi lo usa che a chi ne è usato.

È vero. Il punto e virgola è poco considerato. Ma, invero, di grande utilità. La punteggiatura è uno spasso per quanto mi riguarda. Sempre all’università, in un corso di quelli senza voto (per cui decidono semplicemente se sei idoneo o meno) comunque obbligatorio, chiamato se non erro “Laboratorio di italiano”, mi indispettii enormemente. Pretendevano di insegnarmi a scrivere. Anche non avessi saputo farlo, come avrei potuto imparare a vent’anni? Con quella sottospecie di corso poi? Lo vivevo come un insulto, mi sembrava fossimo considerati illetterati, incapaci, bambini al primo approccio con la lingua. Esercizi tipo: riordinare in senso logico le frasi scomposte all’interno di un periodo, mettere la punteggiatura in un testo che ne era privo.
Ero così in preda alla rabbia – oltretutto non sopportavo l’atteggiamento di superiorità dell’insegnante – che alla prima l’idoneità non la presi.
Io, che avendo avuto una grande maestra alle elementari, mi ricordo l’analisi grammaticale e logica da allora.
Ma per tornare a noi – sono d’accordo sul punto di domanda, ma la mia poca tolleranza va soprattutto al punto esclamativo e ai punti di sospensione (di cui si abusa soprattutto dalla diffusione dell’e-mail in poi).
Eppure ti accorgi, scrivendo e cancellando, che le sfumature che escono dai diversi usi dei segni di interpunzione sono incredibili. È per me terribilmente gustoso. E non riesco a non essere fiscale, mio malgrado. Neppure negli sms.

Senza le parentetiche non saremmo in grado di esprimere la complessità del reale. Non c’entra il fatto di prendere una posizione precisa. A volte uno sguardo unico non è possibile. A volte si possono tenere insieme punti di vista opposti ed entrambi validi. Fuori da ogni logica del politically correct, che è solo sterile ipocrisia!

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