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Gli scritti

Con gli occhi

di W.E.

L’autobus è ancora in ritardo? Mmh…sembrerebbe.
– Mi scusi…è già passato il due?
– No, Signora. Lo aspetto anch’io. Appena lo vedo arrivare glielo dico.
– Oh, grazie, molto gentile, ma sa, mi conoscono, mi avvertono quando sono loro.
– Certo.
Ha una voce che somiglia a quella di Mario. Chissà se ha i capelli rossi.
– Ah guardi signora. Arriva.
– Bene.

– Buongiorno Leda! Va al mercato?
– Oh ci sei tu oggi Paolo? È tanto che non ti vedo. Si fa per dire…eh eh…
– Signora, le serve una mano a salire?
– Oh grazie, lei è davvero premuroso, non capita tutti i giorni sa…
– Si figuri…ecco, aspetti le reggo il bastone…
– Eccoci. Grazie. Mi scusi, so che può sembrarle una domanda strana, ma per caso lei ha i capelli rossi?
– Come? No, no. Veramente ormai ne ho pochi e tendenti al grigio.
– Ah, ecco. Grazie eh, scusi. La ringrazio ancora per l’aiuto. Buona giornata giovanotto.
Sorridendo: – Non si preoccupi, buona giornata anche a lei.
– Allora Paolo…che si dice di nuovo?

Leda. Leda. Smetti di ricordare. Delle strade bagnate puoi sentire ancora il profumo. E come. L’umidità della pioggia, certo. E poi il sole ti batte in faccia, comunque.
Si scioglie la treccia, si spazzola i capelli morbidi e vecchi, con una mano si sfiora l’altra, e vede, davvero vede, le macchie, i nei, le vene ritorte e spesse.

Il campanello.
Dev’essere Carla. Il bastone? Ah, eccolo
. Con le dita sfiora le lencette. Ah, meno male. Questa volta è puntuale.
– Tesoro, com’è andata?
– Cosa, mamma?
– L’esame, non era oggi?
– L’esame.
– Allora? Lo sai che voglio assolutamente…
– Mamma, toccami il viso.
– Ogni volta questa storia.
– Ad ogni tua domanda assurda.
– Uff…andiamo, guarda nel forno. È tutto pronto. Oggi ho deciso che mi berrò anche un bel bicchiere di vino. Speriamo che tuo padre non s’arrabbi, ricordo quella volta…dai Bartolini…ne avevo bevuto uno di troppo…a proposito, sarà ora che ricambi l’invito.
– Mamma.
– Cosa?
– Lo sai.
– Che cosa?
– Che Elda e Luca sono morti da dieci anni.
– Oddio, Carla…
– E papà da dodici.
– Smettila per favore.
– E io fra un po’ vado in pensione.
– Di già?

C’è ancora tutto, Leda. Quasi tutto. Le mele di Tonino, ad esempio. Sono sempre le stesse.
Sempre buone. Pensa alle papille. Pensa se non avessi più la lingua.
Pensa se non avessi più la vita.

Sono sicura. Arcisicura che le piacerà. Arcisicura. Proprio come dice Mario. Ho avuto un’idea strepitosa.
– Ecco, questo è per te.
– Leda…grazie, non dovevi.
– Ah, non dovevo, non dovevo. Perché quando si ricevono regali si dicono queste cose? È come fingere di non essere contenti. Magari non dovevo, volevo. Che non volevo almeno non me lo puoi dire, no?
– Grazie. Grazie davvero.
– Ci tenevo.
– Lo so. Non ti sei mai scordata di un mio compleanno.
– Beh due anni fa…ti sei anche arrabbiata.
– Leda.
Alza il viso, come per guardare. Guardare.
– Lo so. Ma fammelo pensare. Mi ricordo il tuo viso bianco, i riccioli neri, il tuo corpo snello. Mi ricordo…Io ti vedo, capisci? Per me sarai sempre così. Lasciamelo fare.
Una lacrima e poi due.
– Oh, Leda. Guarda. Guarda quello che vuoi.
Un abbraccio. Lungo e stretto.

Ecco. Leda. Forse non ne vale la pena?
Forse è una fortuna. Forse è proprio una fortuna che ti abbiano rubato gli occhi.

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