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Gli scritti

Lo specchio

di W.E.

Vi è mai capitato di trovarvi improvvisamente davanti ad uno specchio dopo essere stati trascinati, da bendati, lungo un percorso di cui non conoscevate l’esito né il senso? Il cervello non identifica immediatamente l’immagine che avete di fronte con la vostra persona. Per un millesimo di secondo vi sembra di avere di fronte qualcun altro, qualcuno che non conoscete. Infatti vi chiedete “Chi è?”. Poi vi vedete. E vi dite: “Ah, ma sono io”. Spontaneamente, a ridosso del riconoscimento, sorge una domanda quasi ottusa per la sua inutilità. Eppure, non potete evitare di porvela: “Ma chi sono io?”. Attenzione. Questa domanda ve la siete già posti più volte in diverse forme nel corso del tempo. A volte l’avete fatto più o meno sinceramente, perché guidati dallo sconforto. Altre volte l’avete fatto semplicemente per il compiacimento che ne derivava, solo perché avevate voglia di sentirvi diversi pur sapendo di non esserlo. Invece in questo caso la domanda assume un altro valore perché è conseguente ad una percezione sensoriale, fisica – e dunque oggettivamente vera – di non sapere chi siete realmente. Se sapete chi siete perché non siete stati capaci di riconoscervi immediatamente? Questo vi state chiedendo, è la prima volta che vi vedete dall’esterno, vi chiedete chi siete in forma pura.

Infine si scopre che non è poi così implausibile pensare di trovarsi. Attenzione. Non mi riferisco al tentativo inutile delle persone di capire se stessi in modo definitivo, né alle analisi autoindotte o indotte da terzi, un misero arrancare verso ciò che, ingenuamente, si crede possa esistere: la verità. Non sto parlando delle passioni che logorano gli animi e che in un turbinio di gioia e disperazione annebbiano le menti. Né sto parlando delle consuete dinamiche amorose che si ripetono infinitamente tra gli individui, delle tattiche consumate tra le coppie per ricacciare indietro la solitudine; e neppure delle amicizie che negli anni diventano un grande cuscino di affetto e accettazione.
Tutte queste cose esistono e paradossalmente funzionano proprio per la loro incoerenza. Ma io sto dicendo dell’altro. Sto dicendo che l’identità del singolo non è tale finché non è riconosciuta. L’incontro con un altro essere umano assume la forma più sublime quando capite che l’altro ha capito chi siete. Quando la rappresentazione mentale di voi stessi, in tutta la sua complessità, viene limpidamente intuita dall’altro. È la prima volta che qualcuno che non siete voi vi vede come voi vi vedete. L’emozione è grande. Un altro essere umano ha appena trovato la vostra collocazione, vi ha riconosciuto.

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