Confidando nel fatto che a Firenze è sempre stato l’unico posto in cui era possibile parcheggiare senza preoccuparsi delle linee blu e delle infernali macchinette, arrivo alla sede della RAI con tranquillità, quasi sorridendo alla casellante.
Al semaforo ormai neanche l’ombra di un lavavetri.
Svolto dietro il palazzo colla parabola gigante, che gli sta in testa come un cappello, e scopro con orrore la serie di parcheggi a lisca di pesce che hanno improvvisamente virato verso il ciano scuro.
Merda. Decido di parcheggiare lungo un muro, a terra i contorni dei rettangoli sono di un bianco smangiucchiato (bianco = “residenti”). Chi se ne frega. Mi faranno la multa di sabato pomeriggio? In effetti la risposta a questa domanda tende più all’affermativo, ma me ne frego.
Quasi come se il rischio di prendere una multa avesse più a che fare con il coraggio che con l’idiozia.
Al ritorno la mia macchina è ben lavata dalla pioggia e non ha alcun foglietto sul parabrezza.
Bene, perché ora occorre spostarla a S.Niccolò. Trovo facilmente parcheggio sulla strada che va verso il Belvedere, proprio accanto alle larghe scalinate che scendono alla torre. Parcheggio blu, naturalmente, anzi è di quelli blu ma con la macchinetta viola: 1 euro la prima ora, 2 euro a ora dalla seconda in poi. Fortunatamente dalle 20 in poi sono solo 50 centesimi. Così questa volta niente facile spreco di coraggio.
Molte chiacchiere e bicchieri di vino bianco in un locale in cui il gestore attacca tediose pippe a qualsiasi donna abbia fatto l’errore di sedersi al bancone davanti a dove lui stappa le bottiglie (“ti ho già visto, sei già venuta, abiti qui? Tu dovresti fare l’attrice etc.”); in particolare in quella postazione si trova mia sorella che ogni tanto mi lancia sguardi di allarme. Ma la compagnia è molto piacevole e il tempo scorre leggero verso l’ora di cena.
Ci aspettano in un ristorante, stavolta in zona Porta Romana. La Punto verde stelvio riattraversa i viali nel traffico di un freddo sabato di festa, oltrepassa la Porta fiduciosa e si ferma a fianco ad altre macchine in una piazza adibita a parcheggio nella più totale assenza di macchinette. Non stiamo troppo a controllare, nel pieno spirito italiano “se ci hanno parcheggiato altri potremo farlo anche noi”.
Entriamo nel ristorante, baci e abbracci con amici che non vedo da tempo, ci sediamo, ah finalmente. Ma un mio amico fiorentino, quando gli spiego dove ho lasciato la macchina, osserva che è praticamente certo che mi faranno la multa, perché è solo per residenti e il sabato sera (come in tutti gli altri giorni e in tutti gli altri orari) i vigili sono impietosi.
Bene, mi rimetto la giacca ed esco. Trovo un posto lungo le mura. Ma mi rendo conto di non aver preso portafoglio né monete. Torno al ristorante, faccio la questua perché ho solo contanti e riesco.
È chiaro che il ragazzo che racconta in una sala la storia di Dante e Beatrice accompagnandosi con la chitarra a mo’ di menestrello si domanda dove sia il problema nel vedermi inforcare la porta per la quarta volta. Torno di nuovo al mio fedele mezzo color di bosco. Davanti alla macchinetta, viola anch’essa, comincio ad inserire una moneta. Ma me la sputa indietro. Provo con un’altra ma mi sputa indietro anche quella. Ci mancava pure questa. Le provo tutte, senza successo.
È a questo punto che l’essere umano, nel tentativo di risolvere il problema, tenta la strada dell’approfondimento. Comincio a leggere tutto ciò che c’è scritto sulla macchinetta. Fino alla frase che in tutta la sua banalità, rappresenta la vera illuminazione della giornata: “Gratis domenica e festivi”. Idiota, oggi è l’8 dicembre. Torno ridendo al ristorante chiedendomi come mai la macchinetta di S.Niccolò non era intelligente e cordiale come questa. Attraversando il corridoio incrocio gli occhi del menestrello che controlla il nuovo cliente in arrivo, mi viene da ridere ancora di più: “Sono sempre io”, dico e lui pure ride. Il resto della serata è sempre annaffiato di vino e la compagnia in parte cambiata, è sempre molto piacevole. Non come il purè, purtroppo, né il polpettone, né la crostata. Ma in fondo non si può avere tutto.